Vista e considerata la mia preponderante pigrizia, specie per quanto riguarda il trattare nuovi argomenti nel blog, ho deciso che per qualche tempo gli argomenti principali di alcuni post saranno delle piccole recensioni di album, cercando magari di trattare quelli un po' meno conosciuti, le "perle nascoste" se così possiamo definirle della grande musica.
L'album che recensirò oggi è "More" dei Pink Floyd, colonna sonora dell'omonimo film (in Italia:
"
Di più, ancora di più "), regia di Barbet Schroeder.
Lavoro poco noto e mistrattato dai più, il cui valore è indiscutibilmente inversamente proporzionale all fama (ma forse è meglio così).
L'album si apre con la ipnotica "
Cirrus Minor" in cui la voce di Gilmour giunge cantilenante ai sensi dell'ascoltatore, tra cinguettii ed una chitarra acustica ad accompagnare, il tutto dopo pochi minuti lascia spazio all'organo di Wright che con maestosità e sicurezza ("e un pizzico di a Saucerful of Secrets") conduce alla chiusura in fade out.
Uno dei pezzi migliori dell'album.
Segue "
The Nile Song", hard rock graffiante e ripetitivo al punto giusto, sembra costruito "ad hoc" per svolgere la funzione di pezzo aggressivo, lodevole è il risultato, specie alla luce del fatto che il quartetto si cimenta in un genere che gli è estraneo.
La voce di Gilmour arrabbiata e lievemente roca entra in continuità con la sua chitarra "zanzarosa" e sporca come mai la si sarebbe ascoltata in futuro, non un capolavoro ma nemmeno da buttar via.
"
Crying Song" oltre ad avere un utilizzo minimo del film, nell'ottica dell'album sa dannatamente di riempitivo, gradevole, e null'altro.
Il giudizio di "
Up The Khyber" non può prescindere dalla sua funzione cinematografica, un pezzo confusionale che accompagna una animata discussione tra i protagonisti, caratterizzato da una incalzante batteria, organo vagamente psichedelico e pianoforte che insiste su accordi dissonanti.
Uno dei gioielli del quarto album dei Pink Floyd è sicuramente "
Green is the Colour", la tipica canzone da dedicare a qualcuno in un tranquillo parco durante una mattina soleggiata, all'ombra di un albero.
Il falsetto di Gilmour accompagnato dalla chitarra acustica è arricchito da
fills di flauto dolce suonato da Linda Mason (moglie di Nick) in maniera scanzonata e dilettantistica.
Il risultato è più che gradevole, le sonorità richiamano la natura, l'acqua e il sole, il tutto immerso in una sensazione di pace e leggiadrìa che non può che infondere nell'ascoltatore una incipiente serenità...
L'accoppiata vincente è chiusa dalla seguente "
Cymbaline", pezzo antecedente all'album e da tempo cavallo di battaglia della band, altro picco dell lavoro, con un ritornello orecchiabile che "prende" già dal primo ascolto.
"
Party Sequence" è un tripudio di percussioni che nella pellicola accompagna una festa a cui prendono parte i protagonisti, pezzo dalla breve durata, dopo i due brani precedenti non guasta.
"
Main Theme" riassume musicalmente l'intera atmosfera del film, è quasi una trasposizione sensoriale in versione uditiva dello stesso, si apre con un organo che lascia spazio ad una melodia lievemente martellante caratterizzata da un fondo di "rumore" sempre incombente.
All'attacco "
Ibiza Bar" non può non far venire in mente la precedente traccia "
The Nile Song", questa volta il pezzo è però più moderno, attraversato da una chitarra distorta e riverberata che esegue licks grintosi e spediti in accordo con l'andamento del pezzo, la voce del solito Gilmour qui è però più tranquilla e disegna melodie più orecchiabili e "easy listening" andando poi a completare il tutto con le sue abilità chitarristiche.Pezzo fresco e vivace che spezza l'ipnotismo di cui gran perte dell'album è pervasa.
In "
More Blues" il nostro chitarrista preferito si diverte su un giro blues un po' incerto e scostante, il risultato è un brano di cui si può fare a meno con una prestazione chitarristica gradevole ma ben lontana dallo stile impeccabile e "verticale" a cui abituerà la sua nutrita schiera di ascoltatori con lavori successivi.Alla prossima.
"
Quicksilver" è il brano tipicamente psichedelico, lungo e per certi versi estenuante in cui Rick Wright la fa da padrone svarionando con il suo organo come piace a lui e come solo lui sa fare. A momenti in cui il suono è quasi impercettibile, se ne alternano altri in cui è più presente, un'esperienza ipnotica che anche questa volta è difficile distaccare dalla versione cinematografica.
E' ottimo questa volta, il lavoro eseguito dal buon Gilmour alle chitarre acustiche per "
A Spanish Piece", un breve flamenco con una valida esecuzione solista, pervaso qua e la da affermazioni in un improbabile e semanticamente dissennato spagnolo parlato dallo stesso musicista.
A concludere l'album:"
Dramatic Theme" un pezzo teso e tirato in cui la slide guitar vibra solitaria amplificando la sensazione di smarrimento.
Traendo le somme, l'album è secondo me uno dei migliori del quartetto inglese e, cosa fondamentale, lascia qualcosa all'ascoltatore, qualcosa che prima forse non aveva e che potrà portare sempre con se, un connubio di sapori, di suoni e soprattutto di colori da accogliere apertamente come un'esperienza nuova ed emozionante.
Un album da ascoltare in tranquillità e riflessione come esperienza più che musicale, e perchè no, al momento giusto, da riascoltare, di più, ancora di più...